Si provi ad immaginare: un ampio locale , un asino, alcune pecore, qualche mucca, del letame, un po' di paglia, alcuni scanni, un lume.....era la Stalla. Unico locale riscaldato. Luogo di incontro serale delle famiglie contadine durante la stagione invernale. A riscaldare l'ambiente c'era il fiato degli animali. A illuminarlo, la scarsa e tremolante luce di un lume a olio. Nelle cucine delle case i focolari si spegnevano per risparmiare la legna. Nelle case non c'erano i servizi igienici: di giorno e di sera sotto un albero, di notte nel pitale , che di solito stazionava sotto il letto, o nella Stalla, un sasso liscio o una foglia sostituivano la carta igienica.
Mentre fuori a volte infuriava la tempesta o la nebbia avvolgeva la casa, dentro la stalla, le persone lavoravano, parlavano, si conoscevano meglio e, tutte insieme recitavano il Rosario.
Si sedevano sul fieno, sulla paglia, sugli scanni o sui ceppi. Le fessure delle finestre e delle porte erano tappate con vecchi stracci o addirittura con del letame fresco.
Nella Stalla i giovani fumavano sigarette fatte al momento e i più anziani tabacco nelle pipe di terra cotta. Seduti sugli scanni riparavano i pichi attrezzi agricoli, aggiustavano e impagliavano le sedie rotte, costruivano scope per la casa e per l' aia, preparavano fascetti di salici per legare le viti dopo la potatura, rifacevano i pioli alle scale, riparavano gli ombrelli. Gli uomini si riunivano a nche per giocare a carte. Il loro tavolo era una tavoletta poggiata sulle ginocchia. Fra una partita e l'altra , si parlava delle grandinate, delle semine, del raccolto, della siccità, del bestiame, delle decime da corrispondere alla chiesa, di affari....di ricordi.
Le donne giovani dipanavano matasse di lana con l'arcolaio o ricamavano pensando al domani....le più anziane filavano con la rocca e il fuso, lavoravano a maglia con i ferri, rattoppavano calze e altri indumenti, preparavano materassi da riempire con le foglie secche del granturco, pregavano, dopo aver raccontato favole e favole ai bambini che, brontolando si addormentavano sulle loro ginocchia.
I vecchi aggiustavano le scarpe, intrecciavano vimini, eseguivano tanti altri piccoli lavori, poi si assopivano.
Tutto si svolgeva in un clima di grande allegria e di intensa pluriattività. In questo modo la gente faceva conoscere le proprie speranze nei momenti buoni; comunicava le proprie ansie e i propri timori nei momenti di dolore.
I ragazzi osservavano tutto. Ascoltavano attenti. Imparavano. Per loro la Stalla era la scuola. Era l'unico luogo dove potevano prendersi un po' di svago durante il periodo invernale. Uno dei giochi preferiti era quello del testa o croce, consisteva nel gettare in aria una monetina con lo scopo di farla cadere a dritta o a rovescio a seconda quale delle due facce era stata preventivamente nominata.
Fra i presenti vi era a volte qualcuno che aveva imparato a leggere e a scrivere; aveva letto qualche romanzo o una storia d' amore; aveva annotato qualche fatto accaduto a Benevento o nelle contrade stesse e comunicava a viva voce la sua cultura alla gente presente. Così, fra lavoro, preghiera,una partita a carte, un canto o una bevuta, si inseriva con austera e solenne semplicità il racconto di vicende misteriose accadute in tempi lontani o di un fatto insolito successo durante un pellegrinaggio o di un avvenimento ancora presente e vivo nella mente di alcune persone.
Apparentemente i racconti e i canti erano in contrasto fra loro: a un racconto di tristezza seguiva un canto di gioia; a un racconto di odio si accompagnava un canto d' amore. Alle carestie, alle malattie,alla guerra, alla morte, si alternava uno scherzo, una preghiera o un inno alla vita.
Era cultura popolare: paura e coraggio, odio e amore, morte e vita, tutto profondamente collegato e vissuto. Comprendere queste cose, viverle, voleva dire essere colti.
Memorie e cose di tale passato, di questa nosttra terra, sembrano dire ancora oggi nel loro antico linguaggio: Noi eravamo così.
Intanto il tempo trascorreva lentamente. La vita non era collegata ad orari o a scadenze, ad eccezione di quelle stagionali. C' era molta miseria, ma questa associava maggiormente la gente, le famiglie , il vicinato.
Mentre fuori a volte infuriava la tempesta o la nebbia avvolgeva la casa, dentro la stalla, le persone lavoravano, parlavano, si conoscevano meglio e, tutte insieme recitavano il Rosario.
Si sedevano sul fieno, sulla paglia, sugli scanni o sui ceppi. Le fessure delle finestre e delle porte erano tappate con vecchi stracci o addirittura con del letame fresco.
Nella Stalla i giovani fumavano sigarette fatte al momento e i più anziani tabacco nelle pipe di terra cotta. Seduti sugli scanni riparavano i pichi attrezzi agricoli, aggiustavano e impagliavano le sedie rotte, costruivano scope per la casa e per l' aia, preparavano fascetti di salici per legare le viti dopo la potatura, rifacevano i pioli alle scale, riparavano gli ombrelli. Gli uomini si riunivano a nche per giocare a carte. Il loro tavolo era una tavoletta poggiata sulle ginocchia. Fra una partita e l'altra , si parlava delle grandinate, delle semine, del raccolto, della siccità, del bestiame, delle decime da corrispondere alla chiesa, di affari....di ricordi.
Le donne giovani dipanavano matasse di lana con l'arcolaio o ricamavano pensando al domani....le più anziane filavano con la rocca e il fuso, lavoravano a maglia con i ferri, rattoppavano calze e altri indumenti, preparavano materassi da riempire con le foglie secche del granturco, pregavano, dopo aver raccontato favole e favole ai bambini che, brontolando si addormentavano sulle loro ginocchia.
I vecchi aggiustavano le scarpe, intrecciavano vimini, eseguivano tanti altri piccoli lavori, poi si assopivano.
Tutto si svolgeva in un clima di grande allegria e di intensa pluriattività. In questo modo la gente faceva conoscere le proprie speranze nei momenti buoni; comunicava le proprie ansie e i propri timori nei momenti di dolore.
I ragazzi osservavano tutto. Ascoltavano attenti. Imparavano. Per loro la Stalla era la scuola. Era l'unico luogo dove potevano prendersi un po' di svago durante il periodo invernale. Uno dei giochi preferiti era quello del testa o croce, consisteva nel gettare in aria una monetina con lo scopo di farla cadere a dritta o a rovescio a seconda quale delle due facce era stata preventivamente nominata.
Fra i presenti vi era a volte qualcuno che aveva imparato a leggere e a scrivere; aveva letto qualche romanzo o una storia d' amore; aveva annotato qualche fatto accaduto a Benevento o nelle contrade stesse e comunicava a viva voce la sua cultura alla gente presente. Così, fra lavoro, preghiera,una partita a carte, un canto o una bevuta, si inseriva con austera e solenne semplicità il racconto di vicende misteriose accadute in tempi lontani o di un fatto insolito successo durante un pellegrinaggio o di un avvenimento ancora presente e vivo nella mente di alcune persone.
Apparentemente i racconti e i canti erano in contrasto fra loro: a un racconto di tristezza seguiva un canto di gioia; a un racconto di odio si accompagnava un canto d' amore. Alle carestie, alle malattie,alla guerra, alla morte, si alternava uno scherzo, una preghiera o un inno alla vita.
Era cultura popolare: paura e coraggio, odio e amore, morte e vita, tutto profondamente collegato e vissuto. Comprendere queste cose, viverle, voleva dire essere colti.
Memorie e cose di tale passato, di questa nosttra terra, sembrano dire ancora oggi nel loro antico linguaggio: Noi eravamo così.
Intanto il tempo trascorreva lentamente. La vita non era collegata ad orari o a scadenze, ad eccezione di quelle stagionali. C' era molta miseria, ma questa associava maggiormente la gente, le famiglie , il vicinato.
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