martedì 22 maggio 2018

La Fiera di San Bartolomeo e altre Fiere Beneventane

Nei secoli addietro, Benevento viveva uno dei suoi momenti di maggior vivacità durante la fiera di San Bartolomeo. Si svolgeva dal 19 al 26 agosto, un’intera settimana in coincidenza con la festa del santo patrono, che si celebrava il 24.
 Nei tempi più remoti, coinvolgeva buona parte degli spazi urbani, in particolare piazza Orsini, il largo della Dogana, il largo di Santa Caterina (attuale piazza Mazzini) e buona parte delle strade adiacenti. Quando la fiera crebbe, agli inizi del XIX secolo, fu trasferita nel largo fuori Porta Rufina. Questo spazio oltre le mura, al tempo, era una larga pianura, con solo qualche isolata casa. L’urbanizzazione di questa zona è iniziata solo alla fine dell’Ottocento.
La fiera era un grande mercato agricolo, dove venivano venduti e acquistati tutti i prodotti legati al mondo rurale. Oltre i prodotti della terra, quali sementi, grani, piante, eccetera, vi si trovavano attrezzi e utensili di ogni genere: zappe, roncole, vanghe, scale, funi, forbici, falcetti, asce, seghe e così via. Vi erano poi tutti i generi di recipienti, da quelli di legno, quali tini e botti di tutte le dimensioni, a quelli di ceramica e terracotta. E poi c’era l’arca di Noè di tutti gli animali che si potevano commerciare: dai colombi ai buoi, dai cavalli alle galline, dai conigli ai tacchini, dalle capre ai “neri” (così erano chiamati i maiali).
Inutile dire che in quei giorni Benevento si riempiva di una moltitudine di visitatori che proveniva non solo dal contado circostante, ma da località anche distanti quali Napoli, Foggia, Campobasso, Avellino e zone limitrofe. Difficile oggi anche solo immaginare il colore, il rumore e la vivacità di quei giorni di fiera.
Per completezza, va ricordato che la fiera di San Bartolomeo, benché la più importante, non era l’unica a svolgersi in città. Ve ne erano altre tre. La fiera della SS. Annunziata e di San Giuseppe che si svolgeva dal 19 al 21 marzo. Poi c’era la fiera di Sant’ Onofrio, che prendeva nome dall’ omonima chiesetta che era oltre il ponte di Calore ed era l'unica che non si svolgeva nel largo di Porta Rufina, ma nell'attuale Piazza Bissolati,  dall’ 8 all’ 11 giugno. Infine c’era la fiera di San Francesco, che si svolgeva dal 29 settembre al 4 ottobre.
Alla fine dell’Ottocento il Consiglio Comunale istituì altre due fiere, quella della Vergine, dall’1 al 3 febbraio, e quella di Sant’Andrea, dal 28 al 30 novembre. Non ebbero vita lunga. Il Novecento, con il suo sviluppo stradale e soprattutto ferroviario, rese obsolete queste occasioni commerciali, cancellando uno degli aspetti più colorati della Benevento di una volta.


Divina Commedia - Purgatorio: Dante incontra Manfredi


Nel Canto III del Purgatorio,Dante e Virgilio arrivano,la mattina di Pasqua (10 aprile 1300),nell'Antipurgatorio e vedono con loro delle anime sbarcare all' Antipurgatorio.Sono gli scomunicati.Non sapendo la strada, Dante e Virgilio si rivolgono a loro.Ecco allora una di loro si presenta:
E un di loro incominciò: «Chiunque tu se', così andando, volgi 'l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque».
                   
Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.

Quand’ io mi fui umilmente disdetto
d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo ‘l petto.

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond’ io ti priego che, quando tu riedi,

vadi a mia bella figlia, genitrice
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,
e dichi ‘l vero a lei, s’altro si dice.

Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.

Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.

Se ‘l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,

l’ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.

Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde,
dov’ e’ le trasmutò a lume spento.

Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l’etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.

Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,

per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,
in sua presunzïon, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m’hai visto, e anco esto divieto;

ché qui per quei di là molto s’avanza».




Quando Berkeley, nel 1717 , passò per Benevento


E’ un covo di banditi. Gli abitanti? Che aria cattiva. Berkeley passò per Benevento e ne restò colpito…
Il 17 maggio 1717, di buon mattino, lui e il suo allievo, il figlio del vescovo di Clogher, visitarono la  città tra i due fiumi: “Conta 10mila abitanti, 12 sbirri e 12 soldati della guarnigione papale –  scrisse -. L’arcivescovo è il cardinale Orsini. Ha una buona fama”.
 La carrozza trainata dai cavalli entrò a Benevento alle dieci di sera. Era il 16 maggio 1717. I passeggeri avevano attraversato Arpaia, lungo una strada ricoperta di ghiaia. Poi Montesarchio, descritto come un “borgo affascinante situato alla base di una grande roccia conica, in cima alla quale c’è un castello”. Faceva freddo quella sera. I due viaggiatori andarono a dormire. Dove, non è dato sapere.
Uno era un filosofo irlandese, il cui nome ancora oggi è conosciuto in tutto il mondo. Si chiamava George Berkeley e aveva 32 anni. Stava accompagnando in un lungo viaggio in Italia il figlio del vescovo di Clogher, George Ashe, un rampollo che, come tanti anglosassoni, seguiva la moda di visitare il Bel Paese in interminabili tour che duravano anni. Berkeley era una specie di precettore colto che gli illustrava luoghi, monumenti e paesaggi italici, raccontando la storia di quei posti. Poi prendeva appunti e scriveva
lettere ai suoi amici in Inghilterra.
Il 17 maggio, di buon mattino, lui e il suo allievo visitarono Benevento. “Conta 10 mila abitanti, 12 sbirri e 12 soldati della guarnigione papale”, scrisse, “L’arcivescovo è il cardinale Orsini. Ha una buona fama”. Pierfrancesco Vincenzo Maria Orsini sarebbe divenuto papa sette anni più tardi la visita di Berkeley che a sua volta, tempo dopo, sarebbe stato nominato vescovo anglicano di Cloyne in Irlanda.
Non si sa se i due si incontrarono. Berkeley descrisse la cappella personale di Orsini: “Qui c’è un dipinto del miracolo di san Filippo Neri che lo ha salvato durante un terremoto. Il palazzo è molto signorile; la sala d’attesa è tutta addobbata con gli stemmi degli arcivescovi. Nella sua diocesi ci sono 91.985 laici e 1.405 ecclesiastici”. Il filosofo irlandese ed Ashe visitarono La Porta Aurea - l’arco di Traiano- (“è bellissimo”). Passarono davanti al duomo e trovarono la cattedrale in buono stato e ben tenuta.
Poi, le note dolenti e i nostri antenati non fecero una di quelle che possiamo definire bella figura. “Questa città è  un covo di banditi. Gli abitanti hanno un’aria cattiva. Credo che sia stato assassinato un locandiere”. Alle 5 della sera la piccola carovana si rimise in marcia verso la puglia. Berkeley vide “dolci pendii e vallate; il paesaggio piacevole, vario, fertile, mi ricorda quello inglese”.
Verso le sette arrivò a Terranova, sopra San Giorgio del Sannio. “Un simpatico villaggio su uno dei colli a destra, poche pecore, asini e  buoi”. L’ultima tappa prima di lasciare il Sannio fu il palazzo del marchese di San Giorgio.
Tornato in patria, Berkeley decise di ripartire perché voleva fondare un’università alle Bermuda. Attese i fondi che gli erano stati promessi per tre anni a Rhode Island. Gettò la spugna e tornò in Irlanda. Divenne il filosofo dell’immaterialità con il suo principio “esse est percipi”. L’università e la cittadina di Berkeley, in California, oggi portano il suo nome. Gli abitanti resero famoso il suo nome nel mondo perché lo vollero ricordare per sempre per  la sua opera dal titolo  “Il cammino dell’Impero prende la via dell’Occidente”.

La Leggenda delle Streghe di Benevento

 

Si narra che  nel 600 d.C., ai tempi del ducato Longobardo, appena fuori della città di Benevento, ci fosse un gigantesco albero di noce  con un serpente di bronzo appeso a uno dei suoi rami.
Il misterioso rettile- simbolo del male o della vita eterna nella forma ad anello  nell’atto di mordersi la coda -pare facesse parte di  un culto misterioso  praticato dalle streghe nere, che  intorno all’albero sacro si radunavano in alcuni periodi dell’anno per danzare con i demoni prima di unirsi con loro carnalmente, attirando in tal modo la maledizione degli Inferi  su Benevento e le campagne circostanti.
Quelli  erano anni tenebrosi: le armate dell’esercito Bizantino assediavano la città, portando, con la fame, morte e distruzione.

Fu naturale pensare a una purificazione  da riti esoterici non cattolici per recuperare il favore di Dio.
Così   San Barbato, allora vescovo, abbatté il noce, pensando così di estirpare quei culti  pagani e diabolici.
Si narra che nelle radici dell’albero il vescovo trovasse un demone  che rimandò negli inferi con la benedizione dell’acqua santa.
Ma il culto delle streghe nere non cessò.
Anzi si cominciò a favoleggiare  che lo stesso  albero maledetto”grandioso e verdeggiante anco in mezzo inverno” ricomparisse nelle notti dei sabba sempre nello stesso punto, poiché, quando un luogo è di infernale dominio, tale resta per l’eternità.
Le adunanze delle  streghe comunque sembra siano continuate per secoli, sempre legate ad alberi che se non erano il “magico noce”,  lo rappresentavano, tanto che ne troviamo testimonianze precise e dettagliate anche nel periodo dell’Inquisizione  e fino  a tutto il 1600.
Quindi la storia di Benevento stregata si protrae per almeno un millennio, ma ci sono validi motivi per credere che essa sia molto più antica del sesto secolo d.C..
Infatti, prima delle guerre Sannitiche, la città si chiamava  Maloenton-Maleventum romana- dall’etimologia:  terra di greggi o terra di malìa.
Ora malìa è da intendersi riferito alla  bellezza geografica oppure alla magia vera e propria?
Perché è  proprio qui che in seguito- quando Maleventum divenne Beneventum  dopo la vittoriosa battaglia che  in codesta località  i Romani combatterono contro il re Pirro nel 275 a.C- il culto pagano della dea egizia Iside, signora della magia e dell’oltretomba,  trovò terreno fertile e prosperò.
E’ sicuro che i riti di questo culto nell’80 d.C si tenessero attorno ad alberi magici: forse era già riconosciuta la sacralità  del Noce alla Dea.

Le storie sulle streghe che a Benevento  si  sono date convegno durante i secoli sono numerosissime.
 Una delle più note è quella della potentissima maga Alcina, che veniva al sacro noce per adorare i demoni; si stabilì anche vicino alla città , in un luogo che si chiamava Pietra Pulcina, Pietralcina.

La strega Violante confessò al tribunale del Santo Uffizio  di Benevento-  in queste contrade l’Inquisizione fu particolarmente attiva- che non tutte  le streghe  potevano recarsi al Noce: solo le più potenti.

Nel 1428 la strega umbra Matteuccia confessò che si  recava al raduno del Noce di Benevento
in volo dopo aver recitato questa formula:
“Unguento, unguento,
 mandame alla noce de Benevento.
Supra acqua e supra vento
et supra omne maletempo”
(dai verbali del processo che la vide accusata  di stregoneria  indetto dall’Inquisizione e  che si tenne  a Todi)

Streghe al rogo

Abele de Blasio(1858-1945) medico, antropolo, criminologo e studioso della  stregoneria beneventana  scrive che in questa città erano conservati, presso la Curia Arcivescovile,  i verbali di oltre 200 processi per stregoneria, i cui  atti furono fatti sparire probabilmente  nel 1860, prima dell’arrivo delle truppe garibaldine, per evitare che fossero utilizzati come propaganda anticlericale.
 Ma non tutti andarono distrutti.

Mariana di San Sisto
Nell’anno 1456 Mariana , accusata di andare a danzare con i diavoli sotto un  noce nei dintorni di Benevento,torturata brutalmente, confessò che, insieme  a una compagna, vagava per le campagne di notte “a rubar bambini per succhiar loro l’anima e berne il sangue fino a ridurli in fin di vita”.
 Fu logico quindi per il tribunale ritenerla responsabile  della morte del bambino di Paolo Giacomo,
detto il Barbiere, e di certa Flora Schiavo.
Pertanto la donna fu condannata al rogo.

Bellezza Orsini, 1600 circa

 La sua storia è la più famosa  a Benevento: ancor oggi se ne favoleggia.
 Era erbaiola e guaritrice esperta , da ogni  parte arrivavano i malati per farsi curare da lei.
Quando un giovane  affidato alle sue cure per uno strano morbo che lo consumava morì, la donna fu accusata di averlo stregato e ucciso.
A questa denuncia ne seguirono altre, che  invidia e ignoranza  in ogni tempo mieton più vittime del colera.
Condotta al carcere di Fiano fu sottoposta  ai soliti crudeli interrogatori fino a che non confessò
i raduni con il maligno sotto il magico Noce, raduni in cui si consumavano turpitudini di ogni specie.
Di certo le menti degli inquisitori erano molto fantasiose e contorte...
Bellezza confessò anche di possedere un libro di magie dove erano scritti “tutti i segreti del mondo”.
Condannata al rogo si suicidò in carcere squarciandosi la gola con un grosso chiodo.

Faustina Orsi, 1552

Fu accusata di atrocità su bambini, dopo averli “stregati con le sue medicine”.
Sotto tortura anche lei , come Bellezza  confessò tutto e di più.
Però dichiarò  anche di essersi pentita, infatti da “due anni non  si recava più al Noce”.
All’epoca del processo aveva 80 anni, ma l’anzianità e il pentimento non le risparmiarono il rogo.

Tornando ai nostri giorni  a Benevento si racconta della Zucculara, che pare infesti ancor oggi, con la sua presenza, il quartiere del Triggio.
Viene chiamata così perché corre per le stradine strette del centro medioevale nelle notti chiare di luna  facendo un gran baccano con i suoi grossi zoccoli; bussa  alle porte delle vecchie case, ma  quando si va ad aprire , si ode soltanto il rumore dei  passi  e una risata stridula che si spegne lentamente  dietro la sua ombra.
E per qualcuno la Zucculara non è una leggenda, esiste veramente....

domenica 13 maggio 2018

Piazza Commestibili

Alla fine dell’800’, dopo l’Unità d’Italia, la Nuova Amministrazione di Benevento, fu chiamata ad affrontare il problema del Mercato Alimentare, che si svolgeva, da tempo immemorabile, a Piazza Orsini, luogo inidoneo soprattutto dal punto di vista igienico-sanitario . Dopo varie ipotesi, fu scelto un luogo fuori dalle mura, vicino Porta Rufina. Tra mille difficoltà economiche e di progettazione la realizzazione andò avanti  per decenni, fino ad arrivare al 1903, quando finalmente il nuovo mercato fu inaugurato e fu chiamato: “Gran Piazza”. Sul lato Est si posizionarono i Macellai detti, all’ epoca, “Chianchieri”,  sul lato in fondo, di fronte all’entrata c’erano i Pescivendoli  che avevano come specialità le anguille pescate nel fiume Calore, mentre, sul terzo lato, opposto a quello dei macellai, c’erano i salumieri (pizzicagnoli) e i pastai. Al centro della Piazza, sotto le pensiline, si posizionavano i contadini che ogni mattina portavano verdura e frutta fresca i cui prezzi venivano imposti dalle Guardie Municipali dopo aver valutato la bontà della merce.


 

 



 




























martedì 1 maggio 2018

Inaugurazione Nuovo Acquedotto


Inaugurazione Nuovo Acquedotto. 1 Agosto 1920.
Per l'occasione fu fatta costruire una vasca davanti al Palazzo del Governo da dove fu scattata la Foto. 
Il palazzo a due piani di fronte era l'ultima costruzione a sinistra del Corso Garibaldi ... dopo circa dieci anni fu abbattuta per far posto alla Camera di Commercio - Benevento