martedì 10 novembre 2020

Piano di Corte

 



  Piano di Corte

La piazza disadorna e vasta era il cuore del Principato Beneventano che, nel periodo della massima espansione, comprendeva quasi tutta l’Italia meridionale, tanto che fu detto Longobardia Minore o Italia Cistiberina.

Qui sorgeva il palazzo dei Duchi e poi dei Principi longobardi. Non se ne è potuto precisare il sito, né l’epoca della fondazione. E’ probabile che il vastissimo edificio sorgesse nel punto più elevato, dove è ora il palazzo Zamparelli, poiché si trovava in comunicazione con il monastero ed, attraverso questo, con la chiesa di Santa Sofia. Il palazzo era preceduto da un monumento equestre: ed i resti del cavallo marmoreo furono rinvenuti, tempo fa, durante i lavori di pavimentazione della piazza. Un’antica chiesa che sorgeva presso il vico II Trescene, si chiamava appunto San Pietro a Caballo.

Tenuto conto che antichi documenti parlano “ de plano Curiae”, da dove deriva il nome attuale, si può ritenere che i Duchi longobardi vi si stabilirono fin dall’inizio dell’ occupazione (571). Ampliarono poi il palazzo e lo abbellirono col crescere della loro potenza. Certo è che Arechi II datava i suoi diplomi del sacratissimo Palazzo (758), ornato da Paolo Diacono di versi latini per desiderio della principessa Adelperga.

giovedì 17 settembre 2020

Gli Ebrei in Benevento

 


Molte persone del Blog mi chiedono di parlare della comunità ebrea che era presente in Città, in quanto ne hanno spesso sentito parlare, ma mai saputo qualcosa in più. Quindi mi sono messo a scavare fra i miei libri antichi ed ho trovato qualcosa che potrebbe soddisfare le richieste.

Le prime presenza di ebrei a Benevento sono segnalate verso l’836, essi facevano parte del ceto mercantile. 

  Nel 1165 risiedevano a Benevento circa 200 famiglie e Nel 1198 dentro i quartieri occupati dagli ebrei vi erano tre chiese parrocchiali che, alla propria denominazione, facevano seguire de Judeca, esse erano San Nazario, Santo Spirito e San Gennaro. Gli ebrei avevano il controllo della tintoria dei drappi locali ed il drappo beneventano era molto rinomato. I documenti dei papi che regolano determinati aspetti della vita degli ebrei a Benevento sono numerosi. Una delle 72 formelle della Porta maggiore del Duomo della città, la Janua major, rappresenta un angelo che respira l’anima di Giuda impiccato per portarla in Paradiso a conferma della tesi della salvezza del traditore di Gesù. Nel XII secolo gli ebrei passarono, come tutta la città, sotto il dominio della Curia romana alla quale pagavano gabelle per il diritto di tingere e di vendere le stoffe. Gli Ebrei, protetti dai Pontefici e non molestati dagli abitanti, anche se non ben visti, sentirono ben presto il bisogno di unirsi in comunità e fissarsi in un luogo separato da altri, come erano soliti fare; questo luogo era l’area tra Piano di Corte e via Bartolomeo Camerario e nel vicolo di Santo Stefano c’era l’omonima Sinagoga, che nel periodo della più feroce discriminazione fu chiamata Santo Stefano De Giudecca, e più tardi de Neophitis ( cioè i convertiti al cattolicesimo). All’ inizio facevano quasi tutti i tintori, in quando grandi esperti di tinte, con questo genere di attività si posizionarono nella parte meridionale della Città, nell’ ambito della parrocchia di San Gregorio. L’industria della tintoria dei panni si poneva come fondamentale, nel tessuto economico cittadino, infatti, i beneventani, integravano, alle loro, le nuove competenze acquisite che fruttavano successo e guadagno. A questa iniziale attività, gli Ebrei si dedicarono anche alla produzione di funi e alla vendita di panni vecchi. Alcuni di loro si dedicarono al commercio del grano e si stabilirono nei pressi di piazza Dogana, dove confluiva tutta la produzione delle zone di Avellino, Foggia e Campobasso.Essi per lo più abitarono in due quartieri: uno, come già detto, da Porta Somma(Rocca dei Rettori) a piano di Corte, mentre l’altro nel vico detto “della Madonnella (l’attuale via Pietro de Caro) dietro piazza Orsini, nei pressi della Cattedrale. Gli Ebrei divennero ben presto autosufficienti, infatti ogni abitazione aveva un giardino pensile, ancora oggi vi sono le testimonianze, dove producevano frutta e ortaggi in modo da non comprare dai produttori locali, in quanto, come già detto, non erano visti di buon occhio, perché col passare del tempo erano diventati anche dei provetti banchieri e prestavano soldi con interesse quasi da usurai.

  Ebbero sicuramente anche un loro cimitero,un luogo sacro, dove onorare i resti dei loro defunti secondo tradizione. Esso si trovava fuori delle mura della Città, nella zona di Creta Rossa, nei pressi della masseria Saberiana, di proprietà della famiglia Zamparelli. Infatti, nel 1898, durante dei lavori di scavo, venne fuori una lapide funeraria con la scritta in lingua ebraica che tradotta: “Nel secondo giorno della settimana, nel primo mese di Scebat, morì messere Samuele, figlio di M. Isacco, l’anno 4913 della creazione. Che la sua anima sia legata al fascetto della vita! Amen (S) ela”. L’anno 4913 corrisponde al 1153 dell’era volgare. Successivamente, altri ritrovamenti di reperti del genere, convalidarono l’insediamento cimiteriale in quella zona, tesi avvalorata ancora di più dalla presenza del ruscello, o fonte d’acqua, che era essenziale nei pressi dei cimiteri ebraici, e la vicino infatti scorreva e scorre ancora oggi il torrente San Nicola.

 Di altri due insediamenti Ebraici, si è rinvenuta traccia nella zona di Casale Maccabei e San Leucio del Sannio, dove si riscontra il riferimento alla Judecca, luogo e strada che ne conserva il nome e rimane ancora adesso nell’area abitata.

  Vi fu un radicale cambiamento dell’atteggiamento del papato verso gli ebrei con il Concilio di Trento. Nel 1555 Paolo IV emise un decreto contenente norme molto restrittive e discriminanti nei loro confronti. Nel 1569 Pio V cacciò gli ebrei dallo Stato pontificio ad eccezione di Roma e di Ancona. Nel 1617 i Consoli di Benevento chiesero il ritorno in Città degli ebrei cacciati dal Papa. Ma del loro ritorno non si trova traccia.

 

 

domenica 2 agosto 2020

I Morticelli

In tutta l’area dietro al Teatro Romano, si estendeva la città’ della Colonia Romana. Sotto il terrapieno esistono ancora oggi avanzi di grandiose opere. In questo contesto c’è la piazzetta detta dei Morticelli con la piccola chiesa di San Lupo, già antica Abbazia Benedettina, poi cimitero dei Bambini, per cui tutti il rione prende il nome dei Morticelli. In mezzo alla piazzetta si eleva un’esile colonna di granito, sormontata da una croce. In fondo è esposto alla venerazione una specie di tabernacolo, sul quale sono dipinte delle sacre immagini, e, al centro il crocifisso, ai piedi del quale sono dipinti dei disegni lunghi e serpeggianti, terminanti in punte che vogliono dire fiamme, alternati da figure umane dai volti colorati che vogliono dire anime del Purgatorio: anime e fiamme a color  di mattone, su un fondo scuro.

A destra del Tabernacolo, è la chiesa, con innanzi un recinto dove un tempo stavano delle bellissime aiuole e dietro le fosse mortuarie dei Bambini. Fino a non molto tempo fa, attraverso le inferriate del recinto, si scorgevano dei teschi corrosi. Lungo il muro laterale vi sono incastrate piccole lapide marmoree, su cui si leggono sentenze scritturali che richiamano alla mente dei fedeli pensieri divini verso i morti. La chiesa, anche se non grande,  ha delle graziose linee architettoniche. Nell’ interno, a sinistra dell’entrata, si legge una lapide che il nostro Capitolo Metropolitano volle, nel 1792, dedicare al munificio Card. Arciv: Banditi. Un tempo tutta la zona era abitata da numerose famiglie, poi vi è stato un periodo in cui era in totale abbandono, mentre oggi, grazie ad un gruppo di volontari è stata ripulita e si presenta in un modo più decente.




martedì 14 luglio 2020

Ricordi d'Infanzia


Le case di campagna, in quel periodo, erano molto distanti una dall’altra e per chiamare qualcuno dovevi gridare. Con un mio amico che abitava in una casa abbastanza distante, per chiamarci escogitammo un richiamo particolare, emettevamo un suono con la bocca che si poteva paragonare ad un ululato, e quello era il segnale che ci potevamo incontrare per giocare. Avevamo circa cinque anni e i nostri giochi si svolgevano quasi sempre sulla strada di campagna che passava nelle vicinanze delle nostre case. Giocavamo alla guerra, a pallone, disegnavamo delle figure sullo sterrato e molte volte facevamo delle lotte che noi in dialetto chiamavamo “cioppole”. Molto spesso con altri ragazzini del luogo ci avventuravamo giù ad un vallone che veniva da San Leucio e sfociava nel fiume sabato verso Serretelle, faceva da confine fra la Madonna della Salute e la zona bassa di Torre Alfieri. Il torrente portava acqua limpidissima e abbastanza profonda da permetterci di fare il bagno senza rischiare di annegare.
La specialità di noi ragazzini era quella di tagliare dagli alberi adiacenti al fiume, quei rami che formavano una lettera V (archetto) in modo che tagliati a misura servivano per costruire le fionde che noi facevamo a livello artigianale pigliando delle camere d’aria di biciclette tagliate di una lunghezza di circa venti centimetri e di larghezza di circa un centimetro, una estremità La legavamo all'archetto e dall’altro e l'altra la legavamo ad una striscia di cuoio ricavata da vecchie scarpe e ci divertivamo a fare il tiro a segno su qualsiasi cosa ci capitasse a tiro.
Un giorno durante le nostre scorribande rischiai seriamente di morire. Nei dintorni di una casa di un nostro vicino vi era una vasca di circa due metri per uno e profonda forse un paio di metri, piena di acqua che sorgeva da sotto; eravamo circa sei o sette ragazzini, compreso mia sorella e le sue amiche, e ci divertivamo a saltare da un lato ad un altro di questa vasca, ad un certo punto inciampo e cado in acqua, tocco il fondo risalgo e ritorno giù, senza che nessuno faccia caso a questo mio pericolo, dopo tre o quattro volte di questo scendere e risalire iniziai boccheggiare, anche perché preso dalla paura... finalmente si accorsero del mio pericolo e mi afferrarono per la canottiera, strappandola in diverse parti, ma riuscendo a mettermi in salvo. Tornammo a casa senza fare il minimo accenno dell’accaduto ma dovetti pigliarmi i rimproveri di mia madre per essermi ritirato con la canottiera strappata, senza sapere che era stata la causa della mia salvezza.

domenica 19 aprile 2020

Benevento

Ponte Leproso

Stazione Ferroviaria e Palazzo Alberti


Piazza 9 Maggio (Bissolati)


Piazza Commestibili


Chiesetta della Libera


Piazza Orsini


Arco di Traiano


Stazione di Via Bari


Corso Garibaldi 
davanti alla chiesa di San Bartolomeo